Sabato 27 Luglio, aggiornato alle 19:58

INFLESSIBILITÀ LAICAMENTE BIGOTTA

INFLESSIBILITÀ LAICAMENTE BIGOTTA

di Pere Lluís Alvau

Quei due compagni di scuola che nella prima metà degli anni ’60 dello scorso secolo frequentavano la Iª Media facevano spesso, di pomeriggio, delle passeggiate in bicicletta con una “Bianchi” da uomo, modello nero con freni a bacchetta, di proprietà del fratello maggiore di uno dei due. La bicicletta era una soltanto e pertanto uno pedalava (il più alto) ed il più piccoletto stava seduto “in canna” con le mani adagiate al centro del manubrio.
Passando per il Lungomare Dante, all’altezza dell’allora famoso locale notturno “El Fuego”, fu loro intimato di fermarsi, con paletta ben alzata, da uno dei tre carabinieri a bordo di una “gazzella”, una Giulia Alfa Romeo all’epoca di colore verde militare lucido, da poco in dotazione ai carabinieri di Alghero.
L’inflessibilità di quei carabinieri, in quel caso chissà determinata anche dallo sfoggiare il nuovissimo e modernissimo automezzo, portò alla redazione di un verbale di contravvenzione per violazione al codice della strada (due su una bicicletta!), rimarcando che avrebbero sorvolato -bontà loro!- sul fatto che in quel periodo dell’anno vigeva sul Lungomare anche il divieto di circolazione. L’ammenda, da pagarsi entro quindici giorni, ammontava a cinquecento lire.
Terrorizzati da quanto accaduto e dalle eventuali conseguenze se le rispettive famiglie fossero venute a conoscenza dell’episodio, i due ragazzini ebbero la forza di escogitare un piano di reperimento della somma necessaria e soprattutto tacere in famiglia quanto avvenuto.
A parte i magrissimi risparmi dei due, ammontanti complessivamente a non più di duecento lire, si pensò di economizzare sulle trenta lire che saltuariamente i genitori consegnavano ai figli per l’acquisto di un panino o una pesca per la ricreazione scolastica.
In una decina di giorni venne “capitalizzata” la somma necessaria per l’oblazione dell’ammenda e così i due si avviarono verso via Simon, dove all’epoca era ubicata la caserma dei carabinieri.
Sorse subito il problema che, abitando gli stessi nel centro storico ed essendo le loro famiglie alquanto conosciute, non sarebbe passato inosservato il loro ingresso in caserma. “Per far che?”.
Stazionarono dunque a lungo a l’angolo con via Ambrogio Machin (lo carrer de Sant Francesc) e quando fu il momento, ovvero quando ritennero che in via Simon non passasse nessuno che li potesse conoscere, entrarono con le gambe molli in caserma dove furono accolti dal vocione del piantone che li informò che per pagare la contravvenzione sarebbero dovuti salire al piano superiore. Scale ripide e gambe ancor più molli i due raggiunsero la stanza indicata. Qui un carabiniere non in divisa ma con uno spolverino grigio-scuro, come si usava un tempo negli uffici sottoposti, li rassicurò con un inaspettato mezzo sorriso ed in pochissimo tempo liquidò la pratica, vestendo la sua espressione con un velo di sorpresa quando lesse la motivazione per cui erano stati multati quei due ragazzini, poco più che bambini.
Rimaneva l’ultima ma non meno difficile azione di quella brutta avventura iniziata dieci giorni prima: uscire dalla caserma dei carabinieri senza essere visti da persone conosciute. Questa volta non c’era la possibilità di temporeggiare come quando si era entrati.
Pertanto con speditezza e dopo il “segno della croce” di rito i due, senza neanche salutare il piantone intento a sfogliare una rivista illustrata, guadagnarono l’uscita e con non più di tre lunghi passi per uno (per la verità quattro o cinque per il più piccoletto!) raggiunsero via Machin dove con soddisfazione si abbracciarono, liberi da un peso che aveva oscurato quei loro dieci giorni, liberi come se avessero espiato una pena detentiva ed avessero riacquistato libertà e spensieratezza.


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