Giovedì 24 Ottobre, aggiornato alle 9:07

Sa Die de sa Sardigna- Vindice Lecis all’Obra Cultural ha presentato “l´ALTERNOS Il romanzo della Sarda Rivoluzione”

Sa Die de sa Sardigna-  Vindice Lecis all’Obra Cultural ha presentato “l´ALTERNOS Il romanzo della Sarda Rivoluzione”

di Caspa

Sa Die de sa Sardigna senza “mitologia”
Sa Die de sa Sardigna, cioè la “Giornata del popolo sardo”, ricorda la sollevazione popolare del 28 aprile 1794 che condusse alla cacciata dei piemontesi da Cagliari e l’avvio di un biennio di sconvolgimenti istituzionali, politici e sociali. Il 28 aprile di ogni anno in Sardegna si celebra questa ricorrenza stabilita da una legge regionale del lontano 1993. La rilettura contemporanea di quegli avvenimenti del 1794 propone, con certa enfasi, l’immagine del popolo sardo che si solleva contro l’occupante piemontese, ai feudatari sardi e ai loro soprusi. L’analisi storica scevra di “mitologia”, cioè ricondotta ai fatti reali mostra che il tumulto del 28 aprile1794 trovò la sua genesi nella resistenza vittoriosa con cui i sardi, all’inizio del 1793, respinsero il tentativo francese di occupare la Sardegna. In tal modo i sardi ricacciarono a mare la rivoluzione francese con tutti i suoi ideali: egualitarismo, anticlericalismo repubblicano, anti feudalesimo per restare nello status quo più oscuro e reazionario. Infatti la mobilitazione anti-francese fu organizzata dai nobili dello Stamento militare e dalla Chiesa Cattolica che ottennero dal sovrano, dopo lo scampato pericolo francese, il ripristino dei propri privilegi. Le rivendicazioni delle élite sarde trovarono una formalizzazione nelle famose Cinque domande inviate al sovrano. Esse chiedevano il rafforzamento del feudalesimo, dei privilegi ecclesiastici, delle autonomie cittadine, dell’intolleranza religiosa, dei monopoli e dei soprusi baronali. In tale contesto storico, certo non mancarono iniziative anti-feudali in alcune realtà locali del nord Sardegna. In questo quadro figura di spicco è certamente il giudice regio Giovanni Maria Angioj, capo del partito riformatore, che nel febbraio 1796 era stato nominato viceré (alternos) e inviato nel Nord Sardegna dalle élite cagliaritane per pacificare Sassari e il Logudoro. A Sassari Angioj venne accolto da un bagno di folla perché considerato come liberatore dai soprusi feudali. Ma ben presto cadde in disgrazia perché si schierò per l’abolizione del feudalesimo. Conseguente fu il fatto che venne messa una grossa taglia e nell’isola fu un ricercato, perciò costretto a scappare dalla Sardegna. Prima si rifugiò a Livorno, poi a Parigi dove morì esule e in povertà nel 1808. Abbandonato anche dalla famiglia, Angioy non ricevette nemmeno un degna sepoltura. Il suo corpo fu gettato in una fossa comune. Allo stesso tempo in tutta la Sardegna l’ordine veniva ripristinato con le armi. Furono assediati i villaggi che resistevano e furono condannati a morte i capi e i maggiori esponenti del moto rivoluzionario.
Era la fine del sogno d’indipendenza ed autonomia propugnato dai riformatori, sepolto e dimenticato esattamente come il suo più grande sostenitore, Giovanni Maria Angioy. L’ordine reazionario e feudale veniva ripristinato e con esso l’arroganza e la cupidigia dei piemontesi e dei sardi ancorati saldamente ai propri privilegi e prerogative. Per una agile rivisitazione di quegli avvenimenti di fine Settecento si può leggere il recente romanzo “l´ALTERNOS Il romanzo della Sarda Rivoluzione” di Vindice Lecis, recentemente presentato dall’autore ad Alghero su iniziativa dell’Obra Cultural. Il romanzo agile e appassionante che “tutti i sardi dovrebbero leggere” con i suoi personaggi ci fa rivivere quelle pagine intense di storia sarda.
Caspa


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