Sabato 27 Luglio, aggiornato alle 19:58

Mario Sinis “Camarau”, ci lascia un figlio di Alghero, Tupamaro per sempre

Mario Sinis “Camarau”, ci lascia un figlio di Alghero, Tupamaro per sempre

Ora che un altro pezzo di storia di Alghero si è spenta per sempre, con Mario Sinis “Camarrau” che è passato ad altra vita, non si può non ricordare quel pezzo di vita vissuta da tanti ragazzi algheresi, cresciuti in qual quadrilatero fatto dalla discesa di Don Pinna, Via Cavour-Muraglia, i Bastioni e Via Carlo Alberto. Poco prima degli anni ’70 alla Muraglia erano loro i leaders.

Cappelli lunghi, quasi a lambire le spalle, si pettinavano con il palmo della mano aperto. Si guardava a Mario Camarrau con ammirazione, e anche un po di paura. Era un Tupamaro. Mamma mia chi por, “gent brusgiara” dicevano gli anziani che sedevano abitualmente sulle panchine di granito fronte la  Lepanto di Cecchini, paresc Gesù Crist”. La verità è che era un gran bel ragazzo, bei lineamenti. Camminava con un portamento autorevole, derivato dalla possenza di un fisico eccezionale: te una folza! Si diceva. Così Mario cresceva con quel mistero che lo circondava, fatto soprattutto di luoghi comuni. Mario Camarrau era un algherese vero, quello che amava il mare, gli scogli, e la Muraglia era  il suo spazio preferito. Era il tempo in cui il mare regalava sulla battigia pezzi importanti di corallo, Mario ne faceva sfoggio portandone uno incastonato in una collana. Poi di collane ne aveva e ne faceva tante.

Il suo look estivo era fatto di blue jeans, camicia speso legata con il fiocco  e la portava sbottonata, roba  da far rabbrividire per qui tempi. Ma il suo pezzo forte erano gli zoccoli. Zoccoli che faceva strusciare sui ciottoli e  ne ricavava un rumore  fragoroso. Ma i suoi zoccoli non erano quelli normali comprati nei pressi della Piazza del Bisbe, da signor Giovanni, i suoi erano artigianali, ricavati da legno d’ulivo, con il cuoio fissato con i chiodini e ribattino, tutto realizzato rigorosamente da lui.  Mario Sinis era un uomo libero, che non amava i compromessi. Si è sempre accontentato, vivendo con dignità, e soprattutto prendendo dal mare le maggiori risorse possibili. Era un maestro del rall. Le salpe mangiavano nelle scogliere piane, poco distanti dalla Torre dei cani, fra l’Oglia y l’Oglietta e il lancio deciso della rete a cerchio con i piombi che la fissavano, restituivano battute di pesca incredibili. Un tupamaro autentico, non voleva avere padroni, e non ne ebbe, sognava la libertà, estrema, non scendeva a compromessi e fra il sogno  di “Che”  e i figli dei fiori il tempo passava. Quel vocione grosso, e l’incedere cadenzato del suo algherese erano inconfondibili, buono di animo, e generoso, Mario Sinis Camarraru aveva un mondo che lo stimava.

Aver appreso che è passato a miglior vita, ci ha fatto tornare indietro nel tempo,  a quel tempo vissuto fra le piazzette algheresi e la Muraglia, perché Alghero era solo quella, e l’appartenenza era fissata dai confini delle vie, dove Piazza San Michele “ collegia” sfidava i coetanei della Muraglia a sassate, “la gherra”,  e sentire che stavano arrivando i Tupamaros, faceva tremare le gambe a tutti. Ma mai, in verità abbiamo visto uno più grande, schierato, sprezzante delle regole prese.

Un altro figlio di quella Muraglia che ha fatto la storia di Alghero non c’è più,  con lui va via il volto buono di un uomo guardato sempre con un pizzico di ammirazione e mistero, perché alla fine per noi Mario era dentro una maschera, imperscrutabile, misteriosa.


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