“Un detto ben noto in Italia è quello secondo cui il diavolo sa far le pentole, ma non i coperchi – inizia così un articolo motivato dell’Associazione ambientalista che fornisce un’ampia e documementata argomentazione su una tematica che si capisce è solo di parte e per una nicchia elettorale, si legge:
Ciò vale anche per le cose umane, nel caso di specie è davvero altamente improbabile poter rendere eterne quelle concessioni demaniali che eterne non possono proprio essere.
Nemmeno adottando in via legislativa proroghe su proroghe, contando sul fatto che nel nostro Paese nulla è più definitivo del provvisorio.
Con un emendamento inserito nel c.d. decreto milleproroghe (il nome è tutto un programma) approvato dal Senato il 16 febbraio 2023 e ora all’esame della Camera dei Deputati (dev’essere convertito in legge entro il prossimo 27 febbraio), è stata stabilita la proroga alle concessioni demaniali marittime balneari fino al 31 dicembre 2024, data che può slittare fino al 31 dicembre 2025 per i Comuni alle prese con un contenzioso in essere o con “difficoltà oggettive legate all’espletamento della procedura stessa”. Inoltre, è stato prorogato fino al 31 luglio 2023, il termine per l’adozione del “sistema informativo di rilevazione delle concessioni di beni pubblici”, che dovrebbe garantire una mappatura aggiornata su tutte le concessioni demaniali.
La maggioranza governativa di centro-destra così intende dare risposte alle richieste provenienti dal mondo dei concessionari balneari, ritenuto parte del proprio elettorato.
La Commissione europea ha già fatto sapere che così non si va da nessuna parte.
La giurisprudenza in materia.
Ancora una volta, si ricorda agli immemori (governanti o meno) che il Consiglio di Stato, in Adunanza plenaria (sentenza 9 novembre 2021, n. 17 e sentenza 9 novembre 2021, n. 18), ha ribadito quanto già affermato autorevolmente dalla Corte di cassazione, dalla Corte di Giustizia europea, dallo stesso Consiglio di Stato, dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Lo afferma la Commissione europea, che ha avviato la seconda procedura d’infrazione (n. 2020/4118) per violazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (c.d. direttiva Bolkestein).
Recentemente, la sentenza Cass. pen., Sez. III, 10 gennaio 2023, n. 404 ha affermato chiaramente la proroga dell’efficacia delle concessioni demaniali marittime a fini turistici fino al 31 dicembre 2023 o, a certe condizioni, fino al 31 dicembre 2024, stabilita dall’art. 3, comma 3°, della legge n. 118/2022 può esser applicata soltanto in favore delle concessioni legittimamente in essere, non a quelle già scadute.
In caso di concessioni demaniali già scadute e di permanenza dell’occupazione del sito, si ricade nell’ipotesi penalmente rilevante di cui all’art. 1161 cod. nav. (occupazione abusiva del demanio marittimo), eventualmente in concorrenza con altri reati (es. art. 181 del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.).
E’ appena il caso di ricordare che la giurisprudenza è costante nel ritenere illegittima la proroga automatica delle concessioni demaniali in quanto palesemente in contrasto con la direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (c.d. direttiva Bolkestein), vds. Corte Giust. UE, sentenza 14 luglio 2016, pronunciata nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, Corte cass., Sez. III, 21 ottobre 2020, n. 29105, Cons. Stato, Sez. V, 15 marzo 2019, n. 1707: le concessioni demaniali marittime non possono essere oggetto di automatico rinnovo, in palese contrasto con il principio comunitario della libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza (artt. 49, 56 e 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea – TFUE), mentre il rilascio delle concessioni demaniali marittime e lacuali a fini ricreativi (c.d. concessioni balneari) deve necessariamente avvenire mediante gara pubblica (art. 12 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio.
Le procedure d’infrazione e le conseguenze.
In caso di riscontrato contrasto con il diritto comunitario, la Commissione apre (come in questo caso) una procedura di infrazione, ai sensi dell’art. 258 del Trattato UE (TFUE, versione unificata): qualora lo Stato membro non si adegui ai “pareri motivati” comunitari, la Commissione può inoltrare ricorso alla Corte di Giustizia europea, che, in caso di violazioni del diritto comunitario, dispone sentenza di condanna che può prevedere una sanzione pecuniaria (oltre alle spese del procedimento) commisurata alla gravità della violazione e al periodo di durata.
Le sanzioni pecuniarie conseguenti a una condanna al termine di una procedura di infrazione sono state fissate recentemente dalla Commissione europea con la Comunicazione Commissione SEC 2005 (1658): la sanzione minima per l’Italia è stata determinata in 9.920.000 euro, mentre la penalità di mora può oscillare tra 22.000 e 700.000 euro per ogni giorno di ritardo nel pagamento, in base alla gravità dell’infrazione. L’esecuzione delle sentenze della Corte di Giustizia per gli aspetti pecuniari avviene molto rapidamente: la Commissione europea decurta direttamente i trasferimenti finanziari dovuti allo Stato membro condannato: in Italia gli effetti della sanzione pecuniaria vengono scaricati sull’Ente pubblico territoriale o altra amministrazione pubblica responsabile dell’illecito comunitario (art. 16 bis della legge n. 11/2005 e s.m.i.).
Attualmente sono ben 83 le procedure di infrazione aperte dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia, di queste 16 in materie ambientali.
Nel caso molto probabile di una condanna dell’Italia da parte della Corte di Giustizia, lo Stato – cioè i cittadini italiani, cioè i contribuenti – dovrebbe quindi pagare una salatissima sanzione per venire incontro agli interessi economici degli attuali concessionari balneari e agli interessi elettoralistici della classe politica che ha sostenuto e sostiene simili illegittimi provvedimenti di proroga.
E’ bene che si sappia.
Che cosa fare, che cosa succederà.
Le concessioni demaniali eterne non esistono, comprese quelle marittime balneari.
Costoro pagano quattro soldi per lucrare centinaia di migliaia, quando non milioni di euro, su beni demaniali come le spiagge.
L’Hotel Cala di Volpe, a puro titolo di esempio, versa quale canone demaniale 520 euro all’anno, per tutte le 19 concessioni demaniali marittime in Costa Smeralda (Arzachena) lo Stato incassa la folle cifra di 19 mila euro di canoni annuali
Ovvio che chi ne beneficia ne voglia approfittare fino alla fine dei secoli.
Le concessioni demaniali – in particolare quelle sulle spiagge – non possono essere eterne, lo affermano direttive comunitarie, giurisprudenza, buon senso.
E nonostante la molto probabile proroga legislativa, le cose potrebbero andare ben diversamente dalle intenzioni di Legislatore e concessionari: infatti, il Consiglio di Stato, nelle ricordate pronunce in Adunanza plenaria (sentenza 9 novembre 2021, n. 17 e sentenza 9 novembre 2021, n. 18), ha chiaramente affermato che “eventuali proroghe legislative del termine” per la messa a gara, fissato al 31 dicembre 2023, “dovranno naturalmente considerarsi in contrasto con il diritto dell’Unione e, pertanto, immediatamente non applicabili ad opera non solo del giudice, ma di qualsiasi organo amministrativo, doverosamente legittimato a considerare, da quel momento, tamquam non esset le concessioni in essere”.
Tamquam non esset, come se non esistessero.
Si deve cambiare registro, volenti o nolenti.
Ed è ora“, conclude il Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)