di Pere Lluís Alvau
Nei miei frequenti viaggi nei Paesi Catalani ed in particolare a Barcellona – quando ancora non vi era la “comodità” dei voli diretti che, ahimè, prima ci sono stati profusi con probabile eccessiva magnanimità di scelta di scali (Girona, Barcelona e finanche Reus!) e che oggi vediamo sempre più ridotti non solo in termini di scali ma soprattutto come possibilità di connessione diretta, limitata peraltro alla sola parentesi estiva – dicevo, facendo riferimento soprattutto agli anni ’70, ’80 e ’90 del secolo scorso, molto spesso mi capitava che amici o conoscenti mi chiedessero di portar loro qualche bottiglia di brandy spagnolo, qualche “baffo” di bottarga il cui prezzo (ma forse anche la qualità, diceva qualcuno) era decisamente inferiore a quello praticato in Italia. In particolare un intenditore passato a miglior vita, mi commissionava con estremo garbo i sigari “Montecristo” e “Romeo y Julieta” ritenuti fra i migliori del mondo.
In occasione di uno di quei viaggi, un conoscente mi chiese la cortesia di portare un libro ad un suo amico di Barcellona e senza transigere accettai di buon grado di adempiere a quella commissione. Quando mi fu portato il libro a casa non credetti ai miei occhi, perché si trattava di un tomo del “Codice Diplomatico della Sardegna” di Pasquale Tola, pubblicato in versione anastatica proprio nelle settimane precedenti (l’anno dovrebbe essere il 1985) da un noto editore sardo. Il volume, già contenuto in un suo pregevole cofanetto, era stato perfettamente confezionato dal mio conoscente ed oltre alla carta da pacchi che lo avvolgeva, era stato oltremodo assicurato con una fitta rete di spago che andava a concludersi con un manico (sempre di spago) che a detta del mio conoscente -bontà sua!- avrebbe agevolato il trasporto. Di fatto si trattava di un volume molto “voluminoso” le cui dimensioni per un lato erano di mezzo metro e circa quaranta centimetri per l’altro. La frittata era fatta, avevo accettato di prestarmi a quella cortesia e non potevo tirarmi indietro. Per forza di cose in aeroporto dovetti consegnare il mio bagaglio in stiva per non avere le mani troppo impegnate, anche perché dovevo fare scalo intermedio, con relative due ore di attesa, a Milano.
Quando arrivai a Barcellona avevo esaurito la mia scorta di improperi a causa del mio eccesso di disponibilità. Recuperai il mio bagaglio che avevo consegnato alla partenza e mi avviai all’uscita attraversando i banchi della dogana dalla parte che indicava niente da dichiarare. Fui però fermato da un agente in divisa il quale mi chiese cosa contenesse l’involucro tanto accuratamente confezionato. La risposta immediata e spontanea (forse troppo sicura) fu: “Un libro”! Voi ci avreste creduto? Forse si, forse no. Il gendarme che avevo davanti faceva parte decisamente della seconda schiera. Rimase per un attimo perplesso e subito dopo mi invitò con tono fintamente gentile ma decisamente perentorio ad accomodarmi nella stanza adiacente dove mi fu chiesto di aprire l’involucro minuziosamente incartato. Nel mentre sfilavano gli altri passeggeri coi quali avevo viaggiato da Milano, sul cui volto di qualcuno non era difficile interpretare l’espressione più che eloquente del “ti hanno beccato!”. Effettivamente non dovevo offrire un’immagine molto distesa anche perché, visto che dovevo eliminare tutto il nastro adesivo che copriva la carta e tagliare lo spago che avvolgeva l’intero pacco (maniglia compresa), al che chiesi con risolutezza che mi fossero fornite delle forbici. Tagliai con attenzione la cordicella prima ed il nastro adesivo ed i vari strati di carta poi; comparve così (anche per me per la prima volta) la preziosa coperta del Iº tomo del Codice del Tola. Mi fu subito chiesto se quel volume avesse valore ed io precipitosamente e sinceramente risposi di si. Il gendarme si alterò dicendomi che pur riconoscendo il valore del volume avessi cercato di occultarlo passando sotto la scritta “nada que declarar”. Volli sminuire la mia trasgressione affermando che si trattava di un valore culturale ed affettivo ma il militare con fare marziale mi disse che a breve sarebbe arrivata una non meglio identificata “inspetora” che avrebbe deciso sull’entità – non so se penale o pecuniaria – della mia infrazione. I passeggeri del volo di Milano continuavano a sfilare davanti all’ufficio di frontiera, dove ero trattenuto, con sguardi sempre più biasimevoli nei miei confronti, in quanto probabilmente identificavano in me un possibile malfattore o corriere di chissà quali sostanze!
L’attesa della “inspetora” si prolungò alquanto, mentre nell’ufficio entravano ed uscivano in continuazione gendarmi apparentemente indaffarati. Transitò anche un agente più anziano con gradi più vistosi degli altri (probabilmente l’equivalente di maresciallo) il quale parve interessarsi della mia presenza, in quanto chiese all’agente che mi aveva fermato perché stessi lì. Dopo essere stato edotto dal solerte gendarme circa la mia trasgressione, il presunto maresciallo mi si avvicinò e dette uno sguardo leggermente interessato, sfogliandone con delicatezza le pagine, al contenuto del volume. Mi chiese in termini pecuniari il valore del libro che di fatto era di cinquecentomila lire. Mentalmente feci il cambio in pesetas, che ad occhio e croce ammontavano a poco più di quarantamila ma che ancor più velocemente dimezzai dichiarandone ventimila. Il maresciallo (adesso mi va di riconoscergli i gradi o quanto meno di promuoverlo a quel grado) chiuse con altrettanta delicatezza le pagine del volume, vi accartocciò sopra i residui dell’originaria confezione e con un fare tra l’autorevole ed il bonario, indicandomi la porta, mi disse “Anda!”.
Uscii dagli uffici doganali e mi immisi nell’aerostazione con due desideri primari che non riuscii ad esaudire. Il primo era d’incontrare qualche passeggero del mio stesso volo per dimostrare che essendo stato rilasciato non ero il trafficante che avevano creduto o che avevano dimostrato di credere con i loro sguardi biasimevoli. Il secondo desiderio (questo sicuramente al momento impossibile) era quello d’imbattermi con il mio conoscente algherese per manifestargli in maniera decisamente “colorita” il disappunto per aver abusato della mia disponibilità e che suo malgrado mi aveva esposto ad un contrattempo che avrebbe potuto avere risvolti diversi.
In altra occasione vi racconterò della mia rivincita, a distanza di poco tempo, nei suoi confronti.
Pere Lluís Alvau